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vere, pòl «pole» può. Nell’umbro si ha anche in sillaba chiusa (n. 25), e, in qualche punto (Città di Castello) con ritrazione di accento, dìetro, fùoco e poi anche con perdita di e, o: pino pieno, nuvo nuovo. Il corso non lo conosce: pède piede, dède diede, scola scuola, sonu suono. Diffuso è invece nel napoletano, dove si può dire sia il suo regno.
[Sorte diversa delle vocali finali non accentate ne’ dialetti settentrionali, centrali, alto-meridionali e meridionale-estremi.]41. Varia e caratteristica è la sorte delle atone finali rispetto al toscano: un estinguersi più o meno largamente al Nord, un conservarsi più o meno mutate al centro e al Sud.
A) In linea generale, le atone finali, eccettuata -a, nella maggior parte della zona settentrionale cadono; più frequentemente nell’emil., meno assai e in certe determinate condizioni nel genovese e nel veneto: emil.-romagn. convéni convento, nos noce noci, zap zappe, us uscio, an anni; lomb. temp tempo, radiis radici, fjuur fiori; piem. sol sole, amis amici, mucc mucchio, ma sape zappe, feuje secche foglie secche, fève voi fate, aso asino; gen. vixin vicino, paizen «paesani» contadini, terren terreno, ma convento, anni, foegge foglie, euio olio, sciummi fiumi; ven. savèr sapere, benefatór benefattore, ben bene, bon buono, scòder riscuotere, man mano, mar mare; ma padre, ani anni, nose noci, miracolo, grando grande, musso asino.
B) I dialetti centrali, compreso il corso, ma escluse le parlate della valle del Metauro dove si continua il fenomeno emiliano-romagnolo, mantengono incolumi le finali, tranne dove -o giunge a -u e cominciano gli scadimenti anche di -a ad -e, che qua e là può persino cadere, col dileguo anche della nasale che la preceda (lu pa, lu vi il pane il vino): frate, vidde o vedde vide, noce noci, zappe, fiuri fiori, immerno inverno; quillu convéniu o comméntu quel convento, giornu e jornu giorno, bonu buono; nostre nostri, tempe tempi, sente senti, mae mai, stràe strada, ome uomo, chentadì contadini, birbaccié birbaccioni; iss esso.