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vengono variamente pronunziate, i dialetti hanno in più, tra altri suoni meno facilmente rappresentabili, l’j schiettamente consonantico, l’n faucale, l’h aspirata, il t e il d interdentali (th, dh).

Ma, meno che per l’j, in un libro elementare come questo, occorre di regola attenersi, per la rappresentazione delle consonanti, ai segni della comune scrittura.

[L’accento.]35. L’accento (v. n, 27), invece, rimane ordinariamente invariato nella parola dialettale, a cui si può dire mantenga, anche in mezzo a profonde alterazioni, il suo italiano profilo: nel piem. bsógn, nell’emil. dné, nell’abruz. ngíne, nel sic. vínniri, si riconoscono agevolmente gl’italiani bisógno, denáro, uncíno, véndere.

Non mancano, naturalmente eccezioni: sic. spàrtiri spartíre, nap. pruíbbete proibíto, ven. lúnedi lunedí, figá fegato; e negli stessi dialetti toscani, come nel lucch.: gòdere, murícciolo, ecc.

[Sorte ordinaria della vocale tonica, e de’ gruppi protonici e postonici nell’Italia settentrionale, meridionale e centrale.]36. Sotto l’accento, anche la vocale, salvo le varie differenze di pronunzia, si conserva generalmente immutata. Di alcune importanti sue alterazioni si parlerà tra poco.

Molte invece e a volte non lievi sono le modificazioni che avvengono ne’ gruppi de’ suoni che precedono e seguono la sillaba accentata nell’una o nell’altra parte d’Italia.

In linea generale, i dialetti settentr. tendono a restringere, a raccorciare, specie con la perdita delle vocali atone, i gruppi che precedono la tonica, e a far indebolire quelle che la seguono e a perder del tutto la finale a volte anche con la consonante a cui si appoggia: piem. davsin davvicino, nost fra nostro frate; lomb. vüü avuto, süü sole, asen asino; em. tlè telaio, muc mucchio, sgnér signore, zovnaz giovinazzi, gnu venuto.

All’opposto, i merid. tendono, per dir così, a scioglier tali gruppi, a prolungarli: abr. bonommene bonòmo,