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b) nei polisillabi tronchi che terminano in vocale: andò, Forlì, viceré, ridà, rià.
«Va sempre più diffondendosi l’uso molto ragionevole e comodo di segnare, anche in questo caso coll’accento acuto1 e chiusa, e i e u: perché, partí, piú; e coll’accento grave e aperta, e o che in fine dei polisillabi tronchi non è mai chiuso: caffè, parlerò, studierò. Quanto ad a, vocale neutra, è da preferirsi l’accento acuto, che è il segno proprio della vocale tonica»2.
c) nelle parole tronche in consonante, piane, sdrucciole o bisdrucciole per ragioni di chiarezza e di pronunzia e per evitare confusione: mandóla e màndola, tèndine e tendíne, pànico e paníco, ecc.

[Effetti dell’accento.]29. Spesso, anche in gran parte per effetto dell’accento, avvengono riduzioni o accrescimenti di lettere o sillabe in principio, in mezzo, in fine di parola: rena per arena (aferesi), dritto per diritto (sincope), fe’ per fede (apocope); in iscuola per in scuola (prostesi); maramaglia per marmaglia (epentesi); sur una strada per su una strada (epitesi). Per questi fenomeni frequentissimi ne’ dialetti, v. n. 50.

Ma le due riduzioni più frequenti a cui vanno soggette le sillabe finali delle parole nel discorso sono:

§ 6. — Il troncamento e l’elisione.


[Che cosa è il troncamento.]30. Troncamento è la caduta della vocale finale atona (e talvolta anche della consonante con cui fa



  1. Che chiamasi grafico, v. nota prec.
  2. Malagòli, op. cit., p. 111.