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continuamente e vescovi e fedeli per riverire il Vicario di Cristo e per ritemprare lo spirito, visitando le nostre venerande basiliche e le tombe dei Martiri ed assistendo con raddoppiato fervore alle solennità, che con ogni pompa e splendore qui si celebrano in ogni tempo dell’anno. «Optamus, ne moribus nostris offensi recedant», diceva fin dal suoi tempi Benedetto XIV, Nostro Predecessore, nella sua Lettera enciclica «Annus qui», parlando appunto della musica sacra: bramiamo che non ritornino alle patrie loro scandolezzati dalle nostre consuetudini. E toccando più innanzi dell’abuso degli strumenti, allora invalso, il medesimo Pontefice diceva: «Qual concetto si formerà di noi, chi venendo da paesi, dove gli strumenti non si adoperano in chiesa, gli udirà nelle chiese nostre, nè più nè meno di quel che si soglia fare nei teatri e negli altri luoghi profani? Verranno pure da luoghi e paesi, dove nelle chiese si canta e suona, come si fa ora nelle chiese nostre. Ma se sono uomini di buon senno, si dorranno di non trovare nella nostra musica quel rimedio al male delle chiese loro, che erano qua venuti cercando». In altri tempi nelle musiche, solite eseguirsi in chiesa, si avvertiva forse assai meno la loro difformità dalle leggi e dalle prescrizioni ecclesiastiche, e lo scandalo per avventura era più ristretto, appunto perchè l’inconveniente era più diffuso e più generale. Ma ora, poichè tanto studio si è messo da uomini egregi nell’illustrare le ragioni della liturgia e quelle dell’arte a servigio del culto, poichè in tante chiese del mondo si sono ottenuti nella restaurazione della musica sacra