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Non tocchiamo partitamente degli abusi che in questa parte possono occorrere. Oggi l’attenzione Nostra si rivolge ad uno dei più comuni, dei più difficili a sradicare e che talvolta si deve deplorare anche là, dove ogni altra cosa è degna del massimo encomio per la bellezza e sontuosità del tempio, per lo splendore e per l’ordine accurato delle ceremonie, per la frequenza del clero, per la gravità e per la pietà dei ministri che celebrano. Tale è l’abuso nelle cose del canto e della musica sacra. Ed invero, sia per la natura di quest’arte per se medesima fluttuante e variabile, sia per la successiva alterazione del gusto e delle abitudini lungo il correr dei tempi, sia pel funesto influsso che sull’arte sacra esercita l’arte profana e teatrale, sia pel piacere che la musica direttamente produce e che non sempre torna facile contenere nei giusti termini, sia infine per i molti pregiudizî che in tale materia di leggeri s’insinuano e si mantengono poi tenacemente anche presso persone autorevoli e pie, v’ha una continua tendenza a deviare dalla retta norma, stabilita dal fine, per cui l’arte è ammessa a servigio del culto, ed espressa assai chiaramente nei canoni ecclesiastici, nelle ordinazioni dei Concilî generali e provinciali, nelle prescrizioni a più riprese emanate dalle Sacre Congregazioni romane e dai Sommi Pontefici Nostri Predecessori.
Con vera soddisfazione dell’animo Nostro ci è grato riconoscere il molto bene che in tal parte si è fatto negli ultimi decennî anche in questa Nostra alma Città di Roma ed in molte Chiese della patria Nostra, ma