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92 | un giovane |
lasciò fare; ma, dopo un poco, senza dir niente, rimise il piatto al posto e ricominciò a mangiare.
Allora il marmista, posati gli occhiali come per una faccenda qualunque, cominciò a gridare:
— Tu fai la marmotta con me!... Ti voglio aprire la testa, per vedere che c’è dentro!... La pappa!... La pappa, c’è dentro!... Smetti di mangiare!... Tu mangi le mie fatiche!...
Alfonso, per effetto dell’abitudine, intese soltanto le prime tre o quattro parole. Ma il marmista, accortosene, lo picchiò con i pugni chiusi su la testa, finchè non senti che si faceva male alle mani. Allora, mordendosi i polpastrelli arrossati, si riposò.
Il giovane, che era restato quasi fermo, rimise le posate come le aveva messe la vecchia; poi, scontento di dover rispondere, disse:
— Lasciami fare. Non mi picchiare.
Ma la propria voce gli fece venire da piangere; e le lagrime caddero sul pane e dentro il piatto, mentre egli cercava di continuare a mangiare: come se non fosse avvenuto niente. E pensò: «Non gli basta che io pianga? Non vede che piango?».