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52 | la casa venduta |
aveva il bastone, batteva su i muri, per sentire quanto erano grossi. Prendevano in mano gli oggetti che erano sopra i miei mobili, toccavano le tende; un altro, il signor Leandro, s’affacciò a una finestra per sputare. Poi andammo negli altri appartamenti; dove erano i miei pigionali, che m’accoglievano con segni di meraviglia ostile. Ma, poi, perchè io ero anche compiacente da fingere di non ascoltare, dicevano male di me con i tre compratori, si mettevano già d’accordo per quando uno di loro sarebbe diventato padrone. Nessuno mi rispettava; mi lasciavano passare dietro a tutti, stavano a parlare quando volevano. Ed io guardavo, forse per l’ultima volta, le pareti della mia casa. Poi, non guardavo nè meno più: entravo ed escivo come se non sapessi quello che facevo e perchè mi trovavo lì.
Quando risalimmo nel mio appartamento, mi disse il terzo che di soprannome si chiamava Piombo:
— Noi abbiamo già perso troppo tempo. Ci dica lei quanto vuole, signor Torquato.
Io volevo spicciarmi, non volevo nè meno farmi consigliare da qualcuno. Avrei potuto