Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
28 | un’osteria |
almeno un poco bella, e non ci sono sottintesi e si sognano i nostri sentimenti.
Quando ella fece il nodo al suo tovagliolo, infilandolo in un anello di metallo dove erano incise le sue iniziali intrecciate, vidi che le unghie, lucentissime, parevano pesare troppo rispetto alle dita. E non sapendo con quale pretesto trattenersi ancora, si alzò salutandoci a pena, come se volesse distruggere la conversazione fatta con noi.
La cieca, sospirando, smaniava.
Dopo una mezz’ora, fumato tutto il pacchetto delle sigarette, e usciti i facchini, andammo a dormire anche noi. Disse Giulio:
— Per far la maestra in questi posti, dovrebbero prendere una nata proprio qui. Non mandarcele di lontano, dalle città. E così per tutti gli altri paesi! Come vuoi che ci possa vivere? E perchè sacrificare una persona, che è così differente a quelle che ci trova e che ci vivono sempre? Una donna nata qui ci vuole! Non c’è una donna? Sanno soltanto far figlioli qui?
— Bisognerebbe che fosse così; ma queste cose le pensiamo noi.... stasera. Domani, a Firenze, non ce ne ricorderemo nè meno!