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22 | un’osteria |
permesso agli altri; e, quasi con pena, preoccupata di loro, rispose:
— Da tre mesi.
Aveva finito la minestra e finse d’aspettare, pensandoci, il piatto di carne.
— Ci sta male, non è vero?
Se avesse pianto, la sua voce non sarebbe stata meno tenera per mentire senza alcuna esitazione:
— Abbastanza bene!
— Ci sono impiegati?
— Meno sette od otto, vanno tutti per i monti a far carbone.
Rispondeva così come se ci fosse stata costretta, quasi fossimo importuni; e non comprendendo la nostra curiosità. Perchè le parlavamo? Mi venne voglia di smettere, per non affliggerla e offenderla anche. Ma, smettendo, non sarebbe più umiliata? Non si fidava del tutto a parlare con noi, ma le faceva piacere; e forse per la prima volta, ebbe come un sussulto a guardar quella gente così silenziosa e maliziosamente ostile con lei.
— Eppure, — pensai, — devono essere i genitori de’ suoi alunni!