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un'osteria | 17 |
venti passi di distanza; sicchè, per non andar sotto a qualche barroccio, bisognava soffermarsi per capir meglio da dove veniva il suo rumore; ma poi, senza gridar più d’una volta, non c’era verso di far scansare nessuno. Intorno, era tutto nero; e non si distinguevano più i monti dal cielo. Alle prime case di Crespino, domandammo dove potevamo mangiare. Ci risposero:
— Più in là troverete un’osteria.
Dietro una svolta, a un uscio, c’era attaccato un lampioncino rosso, ma così affumicato che non faceva punto lume. Ai vetri certe tendine che ci parvero nere.
Entrai primo io. La stanzetta era piena di gente, che si muoveva in tutti i sensi. Da una parte, un gran camino con bagliore di fuoco. Al soffitto, un lume a petrolio che spandeva più puzzo che luce. Il vocìo era assordante; e alcuni ragazzi, mi parvero tre, strillavano.
— C’è da cena?
Da prima non mi ascoltarono nè meno; e dovetti quasi gridare. Allora uno di quegli uomini, senza smettere di far la polenta, mi rispose quasi distrattamente: