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218 i nemici


— Non insistere così, Caperozzi. Ti vogliono tutti bene e tutti sanno che tu sei un impiegato migliore e più intelligente di me. Sei impazzito a credere che l’abbiano fatto per voler male a te? Non capisci che l’hanno fatto invece per voler male a me?

— Ma tu... non hai detto niente, quando lo hai saputo?

— E che dovevo dire? Io, vedrai, mi dimetterò dal Ministero; se non mi rimandano al posto di prima. Vieni a pranzo con me: voglio far vedere a quanti sono che io ti sono amico lo stesso. Ci penso io a trattarli come meritano, anche per il torto che hanno fatto a te!

E io, come se non conoscessi chi era Rutilio Papagli e che soltanto lui aveva potuto farmi quel tiro, lo aiutai perfino a mettersi la giubba; e andai con lui a mangiare. Pagò egli, e io confidai, anzi, a lui l’amarezza che sentivo; non mi confidai che con lui. A nessun altro ho detto mai niente.