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i nemici 215


voglia, lo invitai a sedere. Ma egli, come se non volesse badare a quel che gli dicevo, accese una sigaretta e ridendo mi rispose:

— Tra qualche giorno ho da darti una buona, notizia! Questa volta mi va bene da vero!

— Dimmela subito!

— Ah, no! È troppo bella! Te la lascio indovinare.

E andò via ridendo, con quel suo passo un poco a sbalzi; come se fosse per battere addosso a qualche cosa. Il pomeriggio stesso, il mio capo d’ufficio mi chiamò. Era completamente calvo, e non si capiva dove finisse e dove cominciasse la sua fronte e la sua faccia. Egli stesso me pareva sempre imbarazzato. Io mi accostai al suo tavolino, sicuro che mi dicesse una delle sue parole gentili, quasi affettuose. Ma egli, arrossendo anche sopra la testa, mi disse:

— L’avverto che da domani ella è trasferito sella sezione dei protocolli, al posto del suo amico Papagli.

— Io?

— Proprio lei. Così è stato fatto per accontentare tanto lei che lui.

— Ma io non ne so niente! Non è possibile!