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214 i nemici


mio. Egli seguitò a parlarmene, come se la colpa fosse stata mia, e quasi, secondo lui, avrei dovuto esigere dal capo d’ufficio che riconoscesse senz’altro il suo desiderio; perchè lo dovevo aiutare e perchè a me solo egli era sinceramente amico. Quando mi salutò, rimpiansi di avergli lasciato dire tutte quelle cose e convenni ch’era riuscito, come il solito, a ingannarmi e a farmi rispondere com’egli voleva.

Passò una settimana senza che ci parlassimo. Lo vedevo, alcuna volta, entrare dentro qualche stanza dei nostri colleghi, lesto lesto, quasi rasente i muri, con in mano le carte d’ufficio; ma pareva che non volesse guardare in viso nessuno; e io, allora, mi ritenevo dal chiamarlo. Mi venne, però, la curiosità di sapere perchè veniva più spesso di prima nel corridoio della mia sezione; e cominciai a fare qualche domanda a quelli dai quali lo avevo visto escire. Ma non seppero dirmi niente. Soltanto riuscii ad accertarmi che lavorava molto più di prima e che s’era fatto uno dei più assidui di tutto il Ministero.

All’improvviso, una mattina, si fece su la soglia della mia stanza. Benchè non ne avessi