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la invidiasse, era costretto a smettere qualunque proposito che avesse avuto contro di me. Perchè egli aveva paura della mia bontà, che non perdona mai a nessuno come a nessuno si nega mai. Mi avrebbe anche voluto bene, se gli fosse stato possibile; ma non gli era possibile, e tentava tutti i modi perchè io smettessi, almeno per una mezz’ora, di essere buono.

Una volta lo incontrai per il Corso, e mi disse:

— Perchè non andiamo insieme a mangiare, Caperozzi?

Fui per rispondergli di sì; ma sentii che non potevo. Mi dispiacque a rispondergli troppo seccamente, e gli trovai una scusa. Egli insistè, pigliandomi perfino sotto il braccio. Io lo lasciai lare, e lo pregai che non insistesse. Allora mi disse:

— Avevo, da parlarti di noi.

Fui per credergli, così come facevo con tutti gli altri; ma in tempo mi vennero in mente tulle le cose sgradevoli avvenute tra noi; e non volli cedere. Ma egli seguitò a parlarmi, offrendomi una sigaretta. Avrei voluto non ac-