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200 | mia madre |
so tempo egli mi dette un calcio fortissimo. Renderglielo non avrei potuto; o, almeno, sarebbe stato pericoloso, perchè all’uscita della scuola mi avrebbe picchiato come altre volte. Non mi avrebbe perdonato per niente; e mi disse:
— Se tu fiati, ho in tasca il temperino arrotato.
Anche la sua voce era come quella di una zitella un poco incattivita; ed egli non smise di minacciarmi finchè non mi vide disposto a rispettarlo e ad accettare quel che avesse voluto.
Sapevo, perchè se ne vantava sempre, che con quel temperino aveva levato gli occhi a parecchi gatti; e, quando ne vedeva uno, se era con noi, ci dava a tenere i suoi libri e si metteva a camminare in punta di piedi per poterlo chiappare. Ma, ancora, non gli era riuscito a farci vedere come faceva. Era il più vizioso; sempre pallido e con le occhiaie gialle.
C’era un altro invece che, quando io mi accostavo per farlo smettere di provocarmi, si gettava in terra gridando e piangendo; e a casa inventava che io l’avevo picchiato.
Era un modo anche quello di costringermi a