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mia madre 197


e non avevo voluto più farmi visitare; scappando subito appena lo vedevo.

L’insegnante della terza ginnasiale era un prete d’aspetto campagnolo, ma non sanguigno e nè meno rude. Pareva che ci conoscesse tutti, fino in fondo al nostro animo; meglio di noi stessi. Egli, dopo averci guardato a uno per volta, di mano in mano che gliene veniva il caso, riabbassava un poco la testa e si faceva serio. Non era alto, ma di spalle massicce; e, quando rispondeva ai nostri saluti, socchiudeva gli occhi neri che gli doventavano piccoli piccoli e acutissimi; raggrinzando insieme le labbra, e facendo le boccacce perchè ridessimo.

Io non riescivo nè meno a stare a sedere; e ora mi accomodavo più a destra e ora più a sinistra; tanto che egli se ne accorse e venne a vedere perchè facessi a quel modo. Ma il banco mi pareva troppo duro; e, tutte le volte che volevo muovere le mani per aprire il quaderno o per infilare il pennino nuovo nel cannello, mi facevo sempre male perchè le battevo da per tutto.

Su una parete della cattedra, c’era un crocifisso più grande di quello della seconda gin-