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una amico | 143 |
non ci fossi stato nemmeno. Ma capii che continuava, per conto suo, a pensare quel che mi aveva detto. E pure egli mi piaceva quando faceva a quel modo!
Egli lo capiva e si lasciava ammirare, sorridendone: come di un’abilità che io non avevo.
— Ora, vattene. Devo lavorare sul serio.
Io lo salutai, ed uscii.
Dopo due giorni, incontrandolo in strada, lo volevo fermare; ma egli tirò di lungo.
Per due mesi o più, fece di tutto perchè non ci parlassimo. Io stavo per adirarmi da vero e per inimicarmi, quando, una volta, mi raggiunse e si mise, camminandomi al fianco, a parlarmi con un desiderio di riescirmi grato che m’imbarazzò. Parlammo di musica e di pittura, come ci era possibile. Egli mi dette sempre ragione e promise perfino che avrebbe riportato a certi suoi amici, ai quali io non avevo mai parlato, quel che avevo detto. Questa cosa mi colmò di gioia e forse anche d’orgoglio; ma orgoglio non ne avevo, e lo avversavo quando lo scoprivo negli altri. Lasciandomi, per andare a casa, mi chiese:
— Sei amico anche a me come agli altri?