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Poi se ne andò nel campo, cantando a voce alta; e pensando ai suoi nastri e alle sue scatolette odorose.
Dove l’erba era folta, ci stava di più; dov’era rada e bassa, faceva presto, con un colpo di falcinello. Si asciugava, di quando in quando, le mani guazzose; sdrusciandosele alla sottana. Il granturchetto, gremito, le dava quasi gioia; e metteva le piante più belle sopra tutte le altre per darle da sè ai vitelli; che se le mangiavano come una ghiottoneria, leccandole, dopo, le mani e i polsi, scuotendo la testa e le catene legate alle corna.
Quel mastichìo nel silenzio della stalla! E poi bevevano così bene nelle conche colme! Una sorsata sola, che faceva abbassare subito l’acqua! E, da ultimo, certi loro succhii, smuovendo la lingua, respirando a lungo per i buchi del naso, con il collo allungato in su fino a dovere aprire la bocca; scostandosi dalle mangiatoie, a traverso.
Questa volta ella, ad un tratto, pianse; e sbattè, con tutta la sua forza, l’uscio; correndo dalla nonna.
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Ghìsola non aveva più il buon contegno di prima. Ambiziosa e caparbia, voleva fare il comodo suo.