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vero; ma udì la sonagliera della sua mula:

— È il mio fratello che torna!

Si drizzò in ginocchio, per ascoltare meglio. Poi finì d'alzarsi e se ne andò vociando:

— Se l'ha strapazzata troppo!... Se l'ha strapazzata troppo! Non la sa guidare.

Il ciuffo a punta de' suoi capelli sudati gli sbatteva su le ciglia; e, con quegli orecchi stretti, tutta la testa, rotonda di dietro, sembrava una palla.

Ghìsola era rimasta lì, pentita di trovarsi stesa in terra a quel modo. Si alzò in fretta, pulendosi e guardandosi i polpacci delle mani chiuse a pugno; come quando era a tagliare l'erba e si riposava.

Quando era a tagliare l'erba ficcava la punta del falcino nel tronco di un albero, assettandosi un poco le vesti addosso, specie la camicietta che si sbottonava sempre; stringendo tra i denti le forcelle che una per volta ripigliava per mettersele nei capelli unti d'olio. Dopo aver toccato la punta del falcino, umida del legno lacerato, come di una saliva, cominciava a cantare; interrompendosi, e stando dritta in piedi. Poi, si sputava nelle mani e si rimetteva giù.

Talvolta, le veniva voglia di nascondere tutto il viso; e di restare così; di non esser veduta che dall'aria; di non mangiare più, di morire senza accorgersene.

Le veniva anche voglia di gridare; e aveva paura.