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Pietro era andato, fino alla Castellina, con la vettura di un suo conoscente che lo avrebbe atteso la sera per riportarlo a Siena.

Di lì a Radda, andò a piedi. Traversò tutto il bosco: tra i macigni e i cespugli di ginepri, tra le querci, sentiva di quando in quando l’odore lasciatovi da qualche gregge di pecore.

Vide il tabernacolo dipinto d'azzurro, sul margine della vecchia strada abbandonata; dietro tre cipressi smilzi, con i tronchi pieni di rigonfiature. E su gli avanzi del muro, che cominciava da quel tabernacolo, dopo pochi metri tutto caduto, l’edere insieme con un enorme biancospino.

Attorno, i bei boschi delle altre colline; sempre più chiusi e fitti, d’un colore che sbiadisce fino a divenire una trasparenza.

Incontrò Poggiarofani, un luogo dove si fermano i pecorai quando passano di lassù. Ivi la strada è più alta che altrove, tutta contorta, fatta di risvolte, di salite e di scese; tra l’Apennino aretino e il Monte di Santa Fiora, ma così lontani che paion d’aria come l’orizzonte.

Gli uccelli, alzandosi all’improvviso dalle valli, che si aprono da ambedue le parti, lo rasentavano. E, quasi non sapessero poi dove drizzare il volo, dopo un tratto a sgembo, risparivano nelle profondità.

Quando giunse al paese, stanco e irritato,