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cora, con forza, pigiandosi e abbassandosi e poi risalendo e girando per sparire leste leste dietro quelle che hanno un movimento affatto diseguale e che vengono incontro dalla parte opposta; salite su; ma anche queste s'interrompono quasi subito per doventare una raggiera più larga, irregolare, tutta piana oppure contorta; dentro la quale si mettono e s'avventano case, di sghembo, a traverso, come riescono e possono; spinte da altre che fanno l'effetto di volersi accomodare meglio ed assestarsi, ciascuna per conto proprio.

Le case, bassissime, quasi per affondare nella campagna, da Porta Ovile, da Fontebranda, dai Tufi, sorreggono quelle che hanno a ridosso, le trattengono dalla loro voglia di sparpagliarsi più rade; i punti più alti sono come richiami alle case costrette ad obbedire per non restare troppo sole.

Nei rialzi sembra che ci sia un parapiglia a mulinello, negli abbassamenti le case precipitano l'una addosso all'altra; come frane. Oppure si possono contare fino a dieci file di tetti, lunghe lunghe, sempre più alte: di fianco, altre file che vanno in senso perpendicolare alle prime.

La Torre del Mangia esce fuori placida da tutto quell'arruffio.

E attorno alla città, gli olivi e i cipressi si fanno posto tra le case; come se, venuti