Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 116 — |
Il vecchio lo guardava fisso; Pietro gli dava un'occhiata timida, divincolandosi.
Giacco procurava di sorridere; ma, vedendo la fisonomia di Pietro, non gli riusciva. Ma Pietro sentivasi liberato, anche perchè poteva andarsene senz'altro.
Una volta gli domandò:
— E Ghìsola?
L'assalariato si ringalluzzì tutto, intuendo quale poteva essere il mezzo per farsi benvolere dal padroncino; esitando, nondimeno, ad approfittarne.
— Oh, era tanto tempo che non ne parlava più!
— Ma dov'è?
Giacco, invece di farglielo sapere subito, perchè avrebbe voluto dir tante cose, si grattò il petto. Da uno strappo della camicia si vedevano i capezzoloni, di sangue nero, con i peli lunghi, con i pori gonfi. Un filo, con un sacchetto dì medagliuzze, sporco di sudore, gli stringeva il collo; facendoglici una recisa.
— È a Radda, io credo.
Rispose a voce bassa; e con il falcino indicò le colline del Chianti.
— Scrisse due mesi fa.... Vede? Radda è la.
— Avete sempre la lettera?
— La prese la mia donna. Io credo che l'abbia conservata. Credo, almeno! Diamine, non l'avrà buttata via!