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cuno, per lo più facchini che si recavano all'arrivo dei treni, accendeva la pipa, coprendo con ambedue le mani il fiammifero.
Domenico, quasi a metà della strada, entrava in un bar dov'era una ragazza con una veste così scollacciata che Pietro aveva paura si aprisse tutta.
Ella rideva agli avventori; e allora le sue gote incipriate, sode e rotonde, si gonfiavano fino a farle socchiudere gli occhi. Dava quel sorriso come le tazzine di porcellana filettate d'oro.
Pietro non voleva entrare. Domenico tornava fuori, strascinandocelo.
La ragazza faceva la sguaiata con Domenico; ma Pietro se ne stava a capo chino, impacciato di lei, del suo vezzo, e degli specchi grandi come le pareti; non sapendo nè meno come prendere il caffè. E si bruciava le dita e la bocca.
Esciva prima che il padre avesse avuto il tempo di bevere; e, dai vetri velati di vapore, che si scioglieva in sgocciolature lunghe e torte, lo vedeva ridere con la ragazza.
Su la Torre del Palazzo Pubblico, a sereno, batteva una luce più limpida, e il cielo era pieno di rondoni, che stridevano con stridi lunghi come i loro voli. La Piazza del Campo era tutta rosea, con alcune strisciate verdi
di erba e con i colonnini di pietra bianca.
F. Tozzi. Con gli occhi chiusi. | 7 |