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Che allegria! Ci mettevamo tutte intorno al vassoio, e stritolando confetti, dicevamo ogni sorta di insulsaggini maligne sul conto della sposa: «Come sarà bellina vestita di bianco! Avrà suggezione a dar del tu allo sposo così giovinetta. Si punterà i fiori d’arancio nel parrucchino».

E quelle stupidaggini ci divertivano come se fossero state le cose più spiritose.

Dopo le nozze gli sposi partirono, e noi si stette otto giorni sole colla zia, che ci faceva uscir di casa soltanto la mattina presto, per andare in chiesa. Ma avevamo ancora i confetti nuziali, i doni nuziali, e quel tempo ci parve breve.

Poi una sera tornò il babbo con sua moglie, sana, forte, che non masticava più l’anice stellato, che mangiava polenta, e fagioli, e citrioli, ed ogni sorta di cose indigeste, e camminava come un portalettere... Insomma, quegli otto giorni di viaggio, ed «il cam-