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Quante lusinghe, quante speranze, quale completo abbandono in quelle parole ch’io interpretavo con una larghezza d’idee che Fulvia non ci aveva posta nel dirle! — Guardai la testa bruna di Fulvia, la sua persona casta e graziosa, e tutto un paradiso d’amore mi si aperse alla fantasia esaltata.

— È giovane e pura, e sarà mia — pensai. — E sorsi, e me le accostai, per ripeterle quelle sue parole, per implorare in nome dell’amore l’esaudimento delle mie ardenti speranze.

— Fulvia... — mormorai prendendole la mano.

Ella alzò il capo e mi guardò addolorata. Ma innanzi alla lealtà del suo sguardo il mio ardire venne meno. Era quello sguardo con cui m’aveva fissato dicendomi: «Se mi amate, saprete rispettarmi sempre.»

I miei amici che aspirano alla riputazione di Don Giovanni sentenzierebbero senza dubbio, leggendo queste parole, che tutte le donne dicono così. Io ammiro che sappiano quel che dicono tutte le donne. Quanto a me non lo so. Ma so di certo che Fulvia doveva dirlo in modo differente dalle altre, perchè quelle parole, in bocca a lei, erano sincere, ed inspiravano rispetto.

Le mie idee si confusero. Non osai rammentarle quel suo discorso avventato d’altre volte e, quasi inconscio dell’atto imprudente, le porsi tremando l’ultimo biglietto di Vittoria.