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erano assurde; che in realtà non avevo nessuna ragione seria di credermi amato; che sotto pena di ridicolo, non potevo presentarmi che precisamente come mi ero presentato tutti gli altri giorni.
Pensai anche una scusa per giustificare quella visita mattutina; e so d’averla trovata; ma non me ne valsi, e la dimenticai completamente.
Fulvia stava studiando, e faceva sul pianoforte una scala cromatica.
La porto profondamente scolpita nella memoria, e mi è impossibile di ripensare a quel giorno senza che quella scala cromatica mi risuoni all’orecchio.
Bussai alla porta, ed il suono cessò. — La voce di Fulvia disse:
«Avanti!» Non era punto commossa. Certo credeva che fosse un cameriere dell’albergo.
Ella, naturalmente, non soleva alzarsi da sedere quando entravano uomini; ma quella mattina si alzò, e mi venne incontro. — Non so se quella notte avesse fatto come me progetti appassionati; ma certo a quell’ora aveva pensato al par di me che dovevamo incontrarci coi modi semplici e contegnosi degli altri giorni. Oh, la tirannia delle convenienze!
— Come va, caro signor Guiscardi? — mi disse stringendomi la mano. Mi guardai intorno per vedere chi fosse il signor Guiscardi. A forza di pensare che dovesse chiamarmi Max, avevo dimenticato il