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VIII.
Non so come avvenisse, che, durante quella passeggiata, ci trovammo a parlare d’amore, a teorizzarvi intorno, a fare della metafisica sentimentale. Certo fu lei a mettere il discorso su tale argomento. Le donne non sanno parlar d’altro.
Per pura cortesia io dovetti secondarla, ed in breve c’ingolfammo in uno di quei laberinti di ragionamenti da cui non c’è filo d’Arianna che ci tragga.
Mi sarebbe impossibile dire da che punto partimmo, e dove ci condusse la discussione, sebbene ne abbia in mente molte parole e persino il suono della voce di Fulvia nell’atto che le pronunciava; ma l’ordine mi sfuggì; forse perchè il discorso non ne aveva.
Si parlava d’incostanza. Fulvia mi disse:
— Convenga che noi abbiamo creato questa parola, e l’abbiamo schierata tra le colpe nel codice dell’amore, mentre non è che un fatto naturale. Forse l’amore è un episodio tempestoso; non altro. Due persone s’incontrano; dopo un tempo più o meno lungo s’accorgono d’amarsi; se lo dicono; sono felici di quel sentimento: ma quello stato d’esaltazione