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serti di ghiaccio. In ogni voragine mi sembrava di vedere un lembo delle tue vesti, di scoprire una traccia di sangue. Non ho sentito il freddo, non ho provato la menoma vertigine, non ho avvertito pericoli, non ho pensato che a te.

«— Ma quando scendevo disperato, cupo, deciso ad esaurire fin l’ultimo passo per trovarti, od a morire con te, lo spirito del povero babbo ti ha condotta in questa capanna. Egli è qui tra noi, ci ascolta e ci vede, Fulvia. Oggi come allora, te lo domando dal fondo del cuore:

«Vuoi essere mia sposa? Vuoi lasciare la tua carriera, il tuo paese, e non vivere che per me? ed essere mia?»

«In quella sorpresa di gioia e d’amore il mio cuore lungamente oppresso si era sciolto, ed avevo pianto come la più miserabile delle donne. Era un pianto dolcissimo che mi faceva tanto bene. Non avevo detto una parola per interrompere il mesto racconto del mio bel Gualfardo. Lo ascoltavo, inebriata e felice di essere amata così; profondamente addolorata di averlo tanto male giudicato e compreso.

Soltanto a quell’ultima soave preghiera esclamai tra i singhiozzi:

«— Oh! Gualfardo, io non sono degna di te.

«— Non dirlo, cara, riprese colla sua generosa bontà. Tu mi hai giudicato per quello che mi mostrai. Avevi ragione, povera Fulvia. Tu eri ardente come il tuo bel sole d’Italia, ed io ero tedesco come