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coll’occhio fisso e i capelli ritti, ed a mezzo d’un pezzo musicale, o d’una scena drammatica che teneva l’uditorio affascinato, urtavo dieci persone per raggiungere un conoscente, a cui domandavo con affanno:

— Non sai che sia avvenuta qualche disgrazia sul Monte Bianco?

Il pubblico mi zittiva; e l’interrogato mi tastava il polso fingendo di prendermi la mano, e mi offriva di accompagnarmi a casa, con quella voce carezzevole, che teniamo tutti in serbo per parlare ai malati ed ai matti.

Non so quante volte mi ricondussero così, ed io tornai sempre ad uscire, con quell’idea insistente come una mania, finchè trovai tutto chiuso, caffè, teatri, clubs, e neppur l’ombra d’un individuo nelle strade a cui domandare le ultime notizie del Monte Bianco.

Suonavano le quattro del mattino, quando traversando, forse per la decima volta, la galleria, mi trovai ad un tratto possessore di quest’idea:

Andare a Chamounix!

Di là Fulvia aveva scritto pochi giorni innanzi. Di là era partita per la sua ascensione funesta. Là potrei immancabilmente sapere le circostanze dolorose della sua fine.

Corsi a casa per prendere del denaro.