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ni, la ricerca della nutrice, il suo arrivo in casa, le disposizioni da prendere, le raccomandazioni, e finalmente la partenza del bimbo colla nutrice, avvenuta quella mattina stessa di buon’ora.

Mia moglie aveva superata felicemente quella prima crisi materna.

Tutto era ritornato in calma nella mia casa, ed io ero tornato allo studio, ansioso di riguadagnare il tempo perduto.

Ero contento, di quella contentezza senza trasporto, che si riscontra nei matrimonii dove non manca nè l’agiatezza, nè la salute, nè la gioventù, nè la pace. Se l’amore vi avesse posta la sua scintilla ardente e luminosa, sarei stato felice; così non ero che contento. Ma ero contento e lavoravo; lavoravo già per mio figlio. Uscendo dallo studio alle cinque, passai a salutare mia moglie che stava ancora in camera, poi andai a pranzo, e quand’ebbi preso il caffè e licenziata la cameriera, mi adagiai comodamente in una poltrona presso il balcone, ed apersi il manoscritto di Fulvia, di cui avevo riconosciuto la scrittura fin dalla busta, dicendo tra me:

«— Se avessi sposato Fulvia, questi giorni avrei pranzato nella sua camera, sopra un tavolino piccolo piccolo, accanto al suo letto.

Quella lettura mi trasportava, mi commoveva, m’irritava volta a volta, m’interessava sempre. — Molte volte rilessi un periodo che mi riguardava, e