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XXXIV.
«Come avevo presentito, perdendo il babbo perdetti anche Gualfardo.
«Egli vegliò il cadavere, ordinò i funerali e mandò una carrozza a prendermi per la messa di requie; tutto ciò senza che io lo vedessi. Poi terminato quel doloroso compito se ne andò, e non lo rividi più.
«Ero in una specie d’apatia. L’isolamento pesava su me, mi gelava il cuore. Non pensavo nulla. Mi sentivo sola e profondamente infelice.
«Mi erano rimaste nella mente quelle ultime parole scritte da Gualfardo, che interpretavano pure l’ultima volontà del povero babbo:
«Non uscite dalla vostra camera.»
«Mi pareva che non dovessi uscirne più; che dovessi passare il resto de’ miei giorni solitaria ed inerte in quei dodici metri quadrati di spazio, per obbedire a due ordini egualmente sacri.
«Non ricevevo nessuno. La serva mi recava continuamente delle lettere. Ne avevo aperte alcune sbadatamente e ci avevo trovato una carta da visita colle iniziali P. C. scritte a mano.
«Quella formola per condoglianza, che ricorreva