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Mentre io, sempre egualmente sollecito della salute del mio vecchio amico, lo accompagnavo — sino in capo alla scala, — la signorina disse a Giorgio:
— E quel signore che non ha preso il cappello e non m’ha salutata? Non se ne va?
— Perchè? Le dispiace? domandò Giorgio.
— Un poco; ha una cert’aria inquisitoria; quando mi guarda mi sembra di un’autopsia morale.
— Come s’inganna! È così sbadato, e così buono; quando lo conoscerà meglio, sono certo che le piacerà.
— Può darsi; ma intanto mi annoia; volevo fare una passeggiata, ma con quel signore non oso; mi dà soggezione.
— Massimo!? esclamò Giorgio ridendo. — Ma le giuro che egli non aspira punto a destare questo sentimento nelle signore...
In quella rientrai. Giorgio mi disse:
— Massimo, la signorina mi diceva che desidera fare una passeggiata; ma ha soggezione di te.
Egli diceva questo in aria di tanta ammirazione... si sarebbe detto che facesse un merito a sè stesso della timidezza di quella signora.
Giorgio sapeva ch’io non amo in generale le artiste. La libertà delle loro maniere mi dà uggia. Ed ora sembrava dirmi: Vedi che Fulvia non si emancipa; e, per essere artista, non cessa d’essere una signora?