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XXX.
«Gualfardo fu buono quella sera come sempre. Mi baciò in fronte come soleva fare ogni sera, e mi parve che mi stringesse al suo cuore con un’espansione insolita.
«Ne risentii più acuta la fitta del rimorso. Mi sentivo così vile, d’ingannarlo come facevo, così vile...
«Avrei voluto scrivere a Max di troncare ogni corrispondenza con me; di dimenticarmi, di lasciarmi tutta ai miei doveri. Ma non ne avevo il coraggio. Ed aspettavo la sua lettera con tutta l’ansietà. — Sempre la miserabile attrattiva del frutto proibito!
«Il posdomani la lettera venne.
«Max era malato. Soffriva, era triste. Non poteva scrivermi altro perchè stava a letto. Appena guarito mi scriverebbe a lungo, aveva tante cose a dirmi.
«Era malato; ed io non poteva correre a lui, sedermi accanto al suo letto, curarlo, vegliarlo. Ed era malato per me, per la mia partenza; ne ero sicura. Stava così bene prima! Era dunque il dispiacere che lo faceva star male. No. Decisamente la nostra posizione non poteva durare così. Non si comanda ai proprii sentimenti. Poichè ci amavamo —