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«Tutta notte vegliai, angosciata dalla paura di non destarmi abbastanza presto per essere in ordine a quell’ora mattutina. Alle sei mi alzai senz’aver chiuso un occhio. Alle sette ero vestita per ricevere. Con un’ora dinanzi a me, guardai trenta volte l’orologio e feci dei calcoli infinitesimali, per persuadermi che avevo il tempo di prendere il caffè prima che Max venisse. Ordinai quella bibita con tanta premura che dovettero credere che mi prendesse male. Poi m’inquietai che non fosse lì subito, e nel tempo che il cameriere impiegò a scendere le scale e risalire, mi pentii dieci volte di aver dato quell’ordine, e mi spaventai all’idea d’essere scoperta da Max prendendo il caffè, come non so di che umiliazione. Appena fu recato il vassoio, dissi al cameriere di aspettare, ed afferrata la tazza ingollai tutto il caffè bollente in un fiato, bruciandomi la bocca e lo stomaco, e rimandai tosto il servo col corpo del delitto.

«Non erano che le sette e mezzo. Ancora mezz’ora, mezzo secolo da aspettare!

«Andai allo specchio e rifeci toletta; mi ravviai i capelli, rilavai le mani, ecc. Finalmente sentii il primo tocco delle otto. Era come se Max avesse bussato. Gettai alla rinfusa tutti gli oggetti da toletta nella scatola senza prendere un minuto per ordinarli; e prima che l’ottava ora fosse suonata, corsi a sedermi sul sofà, come se me ne restasse appena il tempo.