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sedersi al pianoforte e suonò tutto quello che potè pescare di più tedesco nel suo repertorio musicale. La tempesta di Rubinstein, il rondò dell’Oberon, il duetto del secondo atto del Lohengrïn.
Per protezione speciale di santa Cecilia non mi addormentai di nuovo.
Stetti sopportando pazientemente quel supplizio acustico, e poi andandole dietro la sedia e togliendole le mani dalla tastiera le susurrai:
— Ora basta di germanizzare, Fulvia. Siamo un poco italiani.
— No, mi rispose senza voltarsi. Non vi amo più.
Io me le inginocchiai accanto per poterla guardare negli occhi, e le dissi:
— Davvero? Ripetetelo.
— Sì, lo ripeto, non vi amo più. Macbeth ha ucciso il sonno, ed il vostro sonno ha ucciso il mio amore.
— Che bisticcio! esclamai figgendo sempre più i miei occhi ne’ suoi e tenendole strette le mani. Siate sincera, Fulvia. Non fate dello spirito, non fate eccentricità. Siate un poco voi stessa. È vero che non mi amate più? Che una posa inelegante nel sonno ha potuto distruggere tutto il vostro amore? Dite, Fulvia, non mi amate più?
Ella arrossì, abbassò gli occhi e rispose:
— È vile, ma lo confesso. Vi amo ancora, malgrado tutto.