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dallo sforzo fatto per sostenere la conversazione. Ella pensava alla sua partenza ed era triste.
Quando fummo a casa ci sedemmo come al solito ai due lati della tavola. Ma il vino bevuto mi era salito al capo; e senza esserne ancora precisamente esaltato, ne avevo le idee intorpidite e l’occhio stanco. Non sapevo più parlare. Ogni volta che aprivo la bocca dicevo:
— Mi amate, Fulvia?
La prima volta mi rispose con espansione: «Sì, mi amava, e malgrado che non potessi essere che un amico per lei, sentiva che nessuno le era più caro di me, neppure Welfard.» E mi stringeva la mano, e mi guardava quasi aspettando ch’io le dicessi parole altrettanto affettuose.
Io volli farlo, apersi la bocca e dissi:
— Mi amate, Fulvia?
Questa volta ella mi rispose soltanto:
— Perchè lo domandate? Non lo sapete abbastanza?
Ed io pensai che infatti lo sapevo, che ne ero certo; e che ero soltanto molto infelice del suo impegno con quel soldatino di piombo, e della sua partenza. E volli esprimerle tutto ciò; e la fissai languidamente e le dissi:
— Mi amate, Fulvia?
Ella mi guardò meravigliata, e mi strinse la mano