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preghiera, poi al terrore passionato, alla supplichevole invocazione di pace, ed alla calma serena di un’anima che ha pregato e spera. Ma quando fu alla stretta: O dolce mia speranza, o dì beato, non volle assolutamente cantarla, disse che era un’ironia, che quel giorno era troppo doloroso per lei, e dovetti rinunciarvi.
Stavo ancora seduto al pianoforte quando venne recato a Fulvia un biglietto d’una signora a cui io stesso l’avevo presentata, che la invitava a pranzare seco, ed aggiungeva che vi sarei anch’io, perchè mi aveva scritto in proposito.
Riservandomi a ricevere quel biglietto al mio ritorno a casa, insistetti presso Fulvia perchè accettasse, promettendole di accompagnarla e poi ricondurla a casa e passare tutta la sera con lei, e tutte le ore del domani.
Ella dunque accettò.
Poco dopo giunse Giorgio, e rimase con noi sino all’ora del pranzo.
Allora uscimmo insieme, e Giorgio ci accompagnò sino in via Torino alla casa dove eravamo invitati.
Fulvia ci aveva domandato un momento di libertà, di cui io avevo profittato per correre a casa a cangiar abito, ed al mio ritorno l’avevo trovata in una elegante toletta verde cupo, con un gran collare alla Medici ed un ramo d’edera nei capelli. Quella tinta