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Ero sempre stato economo; lo ero per natura. Ma in quella circostanza non era il caso di badare a miserie. La contessa m’invitava a prendere il tè; bisognava renderle cortesia per cortesia.

Entrai da un droghiere e le feci mandare a casa una bella provvista di caffè moka ed un pane di zucchero.

Poi, contento di me, pensai al modo di vestirmi per la sera.

Dovendo stare soltanto un anno a Torino, non mi ero provveduto di un abito da serata; tanto più che avevo l’abitudine di passare le sere al giardino della Stazione colla serva del salumaio, la quale non era esigente sulla toeletta.

Ma ero sicuro che non si poteva andare da una contessa senza avere l’abito a coda di rondine, i calzoni neri, la cravatta bianca.

Era una spesa enorme. Ma in quel momento non badavo più a spese; avrei ipotecata la mia bottega, avrei messo sul lastrico me e mia madre per non sfigurare.

Andai dai fratelli Bocconi e comperai tutto il vestiario, perfino le scarpe lucide. La stoffa era ordinaria; poichè doveva servire soltanto una