Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 84 — |
La mattina seguente mi parve che ci conoscessimo un po’ di più, dacchè c’era il precedente delle occhiate del giorno innanzi.
Mi credetti in diritto di fare un saluto, e mi si rispose con un cinguettìo sommesso fra le cinque testine raggruppate, con uno scoppiettìo di risate mal represse, con una serie di occhiatine furtive, maligne, rapidissime.
Quell’armeggio durò una settimana. La nostra muta conoscenza si andava facendo sempre più intima; ci sorridevamo in faccia; appena comparivo alla finestra i dieci occhi brillavano come dieci becchi di gaz; ed io aspettavo ansiosamente la prima avventura che non poteva tardare.
* * *
La sera del sabato udii sul pianerottolo una vocina giuliva che chiamava:
— Signor Enrico!
Provai una fitta al cuore. Era la voce della bella fanciulla dagli occhietti nerofumo; quella che m’aveva guardato per la prima, e che udivo cicalare tutto il giorno nel laboratorio in faccia.
E chiamava un altro sulla scala. Chi poteva essere? Stetti a sentire, e dopo un minuto la udii chiamare daccapo: