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M’era caduta addosso quasi colla vita, la mia prima disgrazia, e da quel giorno fummo inseparabili, immedesimati l’uno coll’altra; io ero essa ed essa era me; mi chiamavo Eustacchio.

Eppure passarono degli anni assai, prima che m’accorgessi che quella era una disgrazia.

La mia mamma era vedova, ed aveva un negozietto di droghe a Fossano. Io passavo le giornate sullo scalino della bottega, mentre la mamma accartocciava caffè e zucchero con tanta arte, che si sarebbe detto che quello zucchero e quel caffè fossero nati in quei cartocci come frutti nella buccia.

Venivano i figliuoli dei vicini a trastullarsi con me; e, naturalmente, si giocava alla bottega. Due pezzi di carta appesi ad un bastoncino con tre fili di refe, facevano da bilancia; un po’ di terriccio, sassolini e mattone pesto, costituivano il fondo di negozio.

— Mi dia un’oncia di caffè, diceva il ragazzo che rappresentava l’avventore; e lo diceva gon-