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Imprecò a sè stessa, al destino, al teatro.

— Maledetto il teatro, esclamò. È quello che m'ha guastata la testa. Ero avvezza a vedere delle catastrofi, ed avevo bisogno di metterne una in fondo al mio dramma. Mi pareva che dopo dovessimo ritrovarci tutti dietro le quinte, e darci la mano sorridendo tra noi, per venir fuori a sorridere al pubblico. Aveva ragione la mamma. Ecco quello che ho guadagnato. Mi sono guastata la testa ed il cuore. È la sua maledizione che mi colpisce. Poi, gettandosi addosso un mantello senza guardarsi allo specchio, senza prender nulla con sè, uscì in furia con me, e ci recammo allo scalo. Per fortuna c'era un treno in partenza e potemmo partir subito per Milano. Vittoria mi diceva traverso i singhiozzi e le lacrime:

— E se sapesse come l'amavo, e che vita miserabile ho fatta in questo tempo. L'aspettavo sempre, mi pareva di vederlo entrare, gettarmisi in ginocchio davanti; e di stendergli le braccia, e di piangere insieme. Era il colpo di scena che aspettavo. Non ero che una commediante; che Dio disperda tutti i teatri del mondo!

Era una bella mattina di marzo quando giungemmo insieme a Milano e con una carrozza da nolo ci facemmo condurre allo stabilimento del dottor Biffi. Gustavo passeggiava in giardino. Ci lasciarono andar soli ad incontrarlo.