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In un mese si fece magro come un’ombra. Prima parlava pochissimo; poi finì per non parlare più affatto. La solitudine ed il raccoglimento che si procurava coll’insistente silenzio, lo concentravano sempre più in quell’idea fissa.
Qualche volta faceva dei gesti disperati. Dopo qualche tempo cominciò ad accompagnare i gesti con qualche parola che non rivolgeva a nessuno. Un giorno, dopo una lunga gita, vedendolo più triste che mai, gli rizzai davanti il cavalletto nella nostra camera d’albergo, e vi posi sopra un suo quadro incominciato. Al vederlo si ritrasse con raccapriccio, respinse la tavolozza che gli porgevo, e si pose a gridare mille cose insensate.
«Ch’egli era venuto al mondo in un quadro, e con due cuori. Ed aveva sempre vissuto in un quadro: e perchè aveva due cuori era morto due volte. Ma però la vita della gente che parla e ride e cammina non la sapeva, perchè nei quadri si vive in una continua tempesta; ed omai voleva provarla anche lui quella esistenza tranquilla senza cornice...»
La sua ragione era perduta, o almeno in grave pericolo. Lo condussi a Milano dal dottor Biffi.
Egli mi disse che non c’era punto sicurezza di ricuperare quella testa malata. Tuttavia si proverebbe a curarla; era tanto giovine....