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mano destra, mise un grido disperato, e gettandosi nelle mie braccia ruppe in un pianto convulso. Su quella mano stava impressa, ancora arrossata e gonfia per l'operazione recente, la figura del quadro di Clelia. Due teste alate.
VI.
Allontanai di là il mio povero amico; lo ricondussi ad Intra; cercai di distrarlo; ma fu inutile. Teneva sempre gli occhi fissi su quella mano tatuata e stava zitto delle ore guardandola. Lo indussi a venire con me a fare un giro artistico in Isvizzera sperando che quella natura pittoresca, ridestando in lui le inspirazioni dell'arte, mitigasse l'intensità del suo dolore.
Ed infatti quando si vedeva in faccia ad una bella scena, si metteva con ardore a farne lo schizzo. Ma poi sospendeva il lavoro e rimaneva cogli occhi sbarrati e penosamente fissi sulla mano tatuata.
L'indussi a portare un guanto, anche quando lavorava. Ma era la stessa cosa. Fissava il guanto, pensava a quello che c'era sotto, e piangeva in silenzio; gli cadevano dei lacrimoni che mi straziavano il cuore.