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Ella invece di rispondermi mi additò la tavola apparecchiata e mi disse:
— Pranziamo.
— No, risposi, non pranzerò se prima non mi avete perdonato.
Ella si alzò, passeggiò un momento per la stanza; batteva i piedi forte, ed era molto agitata. Poi mi si accostò e con un atto quasi furioso mi prese la testa fra le mani e se la strinse sul petto; ed in quell’atto ruppe in un singhiozzo che mi fece piangere. Era Clelia che aveva dinanzi. Ed anch’io pensai a Clelia.
Ah! Sono stato infame; senza volerlo, sono stato infame.
— E poi? domandai con impazienza.
— E poi Vittoria disse ancora:
— Ed ora pranziamo.
Sai che ha delle idee bizzarre alle volte.
Io non volli contrariarla di più. Mi posi a tavola e pranzammo.
Qui Gustavo tacque, e rimase pensieroso come se cercasse nella sua memoria.
— Tira via! gli dissi ansioso di veder la fine di quella scena.
— Non c’è altro. Ho un’idea vaga di essermi addormentato a tavola. Non si parlava quasi; di