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Io parlai e pregai ancora lungamente, senza che l’espressione del suo volto si rischiarasse un momento. Rifletteva e pareva che non mi desse retta. Finalmente si rizzò e mi disse seria seria:
— Gli dica che venga.
— Questa sera? domandai.
— No. Giovedì. (Era una domenica).
— Ma gli perdonerà, nevvero, Vittoria? Posso dirgli che gli perdonerà?
— Lo saprà allora.
— Mi dica almeno che gli vuol bene ancora.
— Pur troppo l’amo quel mostro; l’amo con tutta l’anima e vorrei odiarlo.
Pronunciò queste parole con un accento crudele. Ma era un momento terribile per lei. Ed io pensai che, passati quei pochi giorni in cui si calmerebbe l’impressione di quell’ora, sarebbe clemente, e perdonerebbe con tutta la generosità del suo grande amore.
Corsi da Gustavo altero e felice della nuova che gli recavo. E per la prima volta vidi la sua bella fronte farsi veramente serena. Mise un lungo sospiro di sollievo. — Ah!... come se si sentisse alleggerito da un grave peso.
La sera di giovedì lo accompagnai al battello a vapore; era bello e contento, proprio come dev’esserlo un fidanzato che va a ricevere la sposa del suo cuore. Ma quando fu partito, e rimasi