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vere in quella grande passione. Alzai gli occhi per ringraziare Iddio dal fondo dell’anima.
Ma ad un tratto un grido soffocato, un gemito, un singhiozzo, mi uscì dal petto, mi lacerò il cuore. Al disopra del Crocefisso stava appeso un bel dipinto ad olio rappresentante due teste alate.
Era il quadro di Clelia, e Vittoria era sua sorella!
Oh Carlo! Non so dirvi l’angoscia di quel momento. Stringermi al cuore una donna che adoravo, e trovarmi dinanzi all’immagine d’un’altra donna che avevo uccisa. Udire Vittoria parlare di un avvenire pieno d’incantevoli promesse, e sentirmi vile ed infame se non rinunciavo a quella felicità. Avrei dovuto gettarmele ai piedi, confessarle tutto.
«Ho amato tua sorella e disonorandola l’ho uccisa!»
E poi fuggire e non vederla mai più. Vedevo chiaro il mio dovere. Vedevo la viltà dell’azione che commettevo tacendo. Ma avevo il delirio della passione. E non la disingannai: e rimasi. E lasciai che il nostro amore aumentasse ogni giorno. Lasciai che la sua anima si esaltasse in questa passione fino a non poter più vivere senza di me.
Ma d’allora la mia esistenza è una continua