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III.

— Avevo venticinque anni. Mi sentivo pieno di vita e di speranza. Partivo lasciandomi dietro la dolcezza dell’amore, per andare incontro alla dolcezza della gloria.

— Clelia sembrava rinverdita colla primavera; da qualche tempo stava bene, ed era evidente che quel medico s’era ingannato.

— Ero contento di me, del mondo, di tutti. Quegli otto mesi di amore virtuoso, di vita casalinga, mi avevano ritemprata la salute. Il sangue mi scorreva caldo e robusto nelle vene. La natura mi rifulgeva intorno splendida e giovine come nel giorno della creazione. Ed io pure ero giovine e felice come Adamo. Ma per me pure c’era un frutto proibito; ed io pure trovai l’Eva che me lo porse.

— La incontrai nel breve tragitto di mare tra Genova e Livorno, quella Eva francese col viso dipinto di bianco e di roseo, e gli occhi dipinti di nero, e le labbra dipinte di rosso. Ho sempre avuto un profondo disprezzo per le donne imbellettate. Ma pur troppo vi sono delle ore maledette nella vita, in cui la materia vince l’anima, ed allora