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frisse delle privazioni, ma non me le disse mai. Cercai più volte di farmi raccontare di quella sorella lontana, ma ella mi rispose vagamente, e finì col dirmi:
«Perchè cercate di indagare i miei interessi di famiglia? Dubitate di me, Gustavo? Mia sorella è maritata, ed è onestissima.
— Io non dubitavo di lei, e non domandai più nulla, e non pensai che ad esser felice.
— Una sola cosa mi tormentava durante quegli otto mesi così belli: la salute di Clelia. Non era precisamente inferma, ma era tanto gracile e delicatina, che un nulla la faceva ammalare. Parecchie volte al giorno prendeva un cucchiaio di olio di fegato di merluzzo, ed aveva sempre la tosse. Ma io pensavo: «Non è più tanto giovine, la tisi è la malattia delle giovinette.» E scacciavo le idee tristi guardando la serenità dei suoi begli occhi.
— Sul principio della nostra relazione, uscendo di casa, una sera incontrai alcuni amici, che m'invitarono ad una cena. Dopo la cena, si fece un po' di chiasso, e rimasi fuori tutta la notte.
— La mattina, quando andai da Clelia, fui spaventato al vedere quanto male le aveva fatto quella mia scappata. Era pallida, abbattuta, cogli occhi gonfi di pianto; sembrava che uscisse da una