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lo cominciò ad annuvolarsi; minacciava un temporale.

— Guarda, Carlo, mi disse Gustavo additandomi una nuvoletta scura, non ti pare che quella nuvola abbia la forma di due teste di angeli?

— Ma che! Mi sembra piuttosto che raffiguri un cane accovacciato.

— Ah! Lo sapevo, sai, che tu non l’avresti veduta come me! E disse queste parole con accento addolorato.

Non capivo perchè desse tanto peso a quella sciocchezza, e gli risposi meravigliato:

— Ti dispiace tanto che io non veda due teste d’angeli! Via, ci metterò un po’ di buona volontà. Già, nelle forme vaghe delle nuvole si vede quel che si vuole.

— No. Lo sapevo già che tu non avresti veduto come me. È una mia visione, eterna, crucciosa. Vedo dovunque delle teste alate. È il mio incubo.

— È un bell’incubo. Dicono che Iddio si circondi di angeli per abbellire il Paradiso, e tu che hai la fortuna di vederne in hac lagrymarum valle, te ne lagni?

Gustavo chinò il capo sul petto, e stette zitto un pezzo, come discutendo qualche cosa di grave tra sè e sè. Ad un tratto si fermò, mi prese le mani, e mi disse con voce commossa: