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Dovevo essere commovente col mio abito nero, la cravatta bianca, il gibus sotto il braccio, i guanti a tre bottoni, gli occhi imbambolati, e quel pochino di languido appetito che mi aveva dato la speranza, completamente svanito.

Povera bimba. Era vittima della tirannia della vedova; ma quanto a lei non mi respingeva; tutt'altro. Si affidava a me, mi domandava nella semplicità del suo cuore:

— Cosa fare!

Infatti, cosa fare? Non era il caso di darsi vinti così. Bisognava pensarci, cercare. Intanto avevo il conforto di vederla dal pasticciere.

Quel giorno la vedova rotonda, mi parve più vecchia di vent'anni, ed orribile. Aveva una avidità di croque en bouche, che mi irritava. Ne divorò una dozzina, e ad ogni uno mi guardava come se volesse divorare anche me.

Mi venne il sospetto che avesse scoperta la mia lettera alla figliola, e cercasse d'impaurirmi per impedire il nostro matrimonio. Mi proposi d'esser cauto, e quando uscirono non le seguii.

Invece di avviarsi a casa come gli altri giorni, entrarono dalla modista di contro, e fecero spiegare una quantità di tulle bianco, che riempì la bottega, velò la bacheca, avvolse le signore come in una nuvola trasparente.